La disabilità che ci unisce

Sarà capitato anche a voi di incontrare una persona disabile nella vostra vita, non è così? Non essendo alieni ma esseri umani è molto facile incrociarli per strada o sui mezzi, averli come colleghi, vicini di casa o compagni di scuola. Ma, nell’incontrarli, vi siete mai chiesti come i loro genitori abbiano reagito alla notizia che ha cambiato loro la vita? Io si, e per trovare una risposta ho chiesto aiuto ad Adelio.

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Luca e suo padre Adelio

Conosco quest’uomo sempre sorridente e buono come il pane perché è volontario tuttofare nella mia stessa associazione, Handicap… Su la Testa!. Eppure, Adelio è stato anche padre di un utente di HSLT, Luca, deceduto nel 2010.

Luca è nato nel 1970 da due genitori, Adelio e Margherita, giovanissimi e molto innamorati. Per i primi mesi della sua vita, il bambino era sano come un pesce, ma a dieci mesi d’età ha avuto la prima crisi convulsiva. Immaginatevi due genitori che, da un giorno all’altro, osservano impotenti il loro figlioletto in preda a: spasmi articolari, irrigidimento del piccolo corpicino e difficoltà a respirare. Non dev’essere piacevole, vero? Adelio e Margherita lo hanno portato di corsa all’ospedale, dove gli è stato riscontrato un ritardo mentale.

Fino a sei anni, Luca non stava molto male, nonostante le sporadiche crisi convulsive. Un giorno, però, i genitori hanno deciso di cambiare ospedale in cui tenerlo in osservazione. Durante una visita, una dottoressa ha notato delle macchioline bianche sul suo viso e, dagli accertamenti che ne sono seguiti, gli ha diagnosticato la sclerosi tuberosa.

Da quel momento, la vita di Adelio e Margherita è cambiata. Ma i due genitori non si sono fatti sopraffare da paure o ansie legate alla malattia del figlio e hanno reagito alla notizia con determinazione e forza d’animo.

Luca di certo sapeva divertirsi e tenersi occupato. In settimana frequentava l’Istituto Don Calabria e svolgeva le attività dell’associazione HSLT (le ha provate praticamente tutte). Durante il tempo libero, ha anche partecipato con i volontari del CSH alle Special Olympics.

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Adelio mi racconta della prima volta in cui si è ritrovato in un’arena, circondato da 3-4mila altre persone disabili. Era sempre stato abituato alle piccole realtà che frequentava il figlio. In quell’occasione rimase allo stesso tempo scioccato dalla quantità di atleti disabili intorno a lui e meravigliato dall’imponente organizzazione, in grado di far gareggiare persone con disabilità tanto diverse.

E credete che durante le vacanze estive una persona così attiva come Luca si riposasse? Ma neanche per sogno! Partecipava alle vacanze organizzate da HSLT o dal Don Calabria. Inoltre, non poteva rinunciare alla vacanza con la famiglia a Pinzolo. Il padre lo accompagnava nelle escursioni di tre o quattro ore sotto il sole cocente. Ma ad essere in difficoltà era il povero Adelio. Proprio così, Luca era un escursionista provetto: non sudava, aveva molta resistenza e il passo sicuro del montanaro esperto.

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Luca a Pinzolo

La grinta e il vigore di Luca sono stati, però, attenuati dalla malattia. Il ragazzo era monitorato semestralmente dai medici del DAMA, di cui una sezione studiava proprio la sclerosi tuberosa. Le condizioni di salute di Luca erano diventate stabili, aveva una crisi convulsiva all’anno, e la sua strada sembrava in discesa. Nel 2010, però, uno dei tumori benigni derivanti alla sua patologia è diventato maligno e lo ha portato via in breve tempo.

I rapporti che Luca ha stretto durante la sua vita sono stati positivi, anche se qualche volta Adelio e Margherita hanno dovuto subire i pregiudizi degli estranei: ragazzini che sogghignavano quando incontravano Luca per strada e due agenti immobiliari dirimpettai della famiglia di Luca che accusarono il ragazzo di stracciare gli annunci immobiliari che disseminavano per il palazzo. Ovviamente lo incolparono senza alcuna prova, solo perché disabile e, quindi, secondo loro, in grado di compiere una bravata del genere.

Nonostante questi esemplari di dubbia sensibilità, Adelio mi racconta che la disabilità di Luca è stata il collante della sua unione con la moglie. Avere un impegno così importante su cui concentrare le forze ha posto in secondo piano i problemi che le coppie normalmente si trovano ad affrontare. La disabilità di certo può far paura, ma Adelio e Margherita ci insegnano che con la forza dell’amore tutto è superabile.

Arte da guardare con le mani

Luigi Turati, classe 1955, è uno scultore che mi ha aperto le porte del suo atelier milanese.

Nonostante non abbia fatto studi specifici legati all’arte e sia non vedente, Luigi ha dedicato la sua vita alla scultura. Mi ha accompagnata in un percorso alla scoperta delle sue opere, poche settimane prima della sua mostra, che sarà a fine gennaio all’Istituto dei Ciechi di Milano.

Negli anni Ottanta, Luigi si dedica all’arte figurativa e al simbolismo. Utilizza materiali duttili, come la terracotta e la pietra tenera. La rappresentazione dell’uomo prepotente – che Luigi chiama “dio potere” – e dell’uomo incorruttibile – sovrastato dal primo – è riccorrente nelle sue prime opere.

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Scultura figurativa. La tartaruga rappresenta l’uomo onesto, schiacciato dall’essere umano prepotente, avido di denaro

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Il dio potere

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Figura umana in marmo

Col tempo, acquisisce la tecnica che gli permette di passare gradualmente all’arte astratta. Si dedica alla lavorazione di materiali più duri rispetto al passato, come il legno e il marmo. Il simbolo del passaggio dall’arte figurativa ad astratta è la rappresentazione della figura umana, che diventa via via più irreale e che, infine, porta Luigi ad interessarsi ad un nuovo soggetto: la Natura.

 

Da pasticciona quale sono, gli ho chiesto come faccia a rimediare agli errori in fase di lavorazione. Insomma, può capitare che dal blocco di marmo che sta scolpendo si stacchi un pezzo, no? Certo! Mi spiega che da giovane e inesperto scultore aveva sempre paura di commettere errori. Ma col tempo ha imparato a conoscere a fondo i materiali che scolpisce e soprattutto a non seguire un progetto preciso. Così, se quel pezzo di marmo volesse proprio staccarsi, lui non andrebbe in panico.

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Pianta grassa in marmo

Il tatto è fondamentale per poter conoscere a fondo una scultura. Luigi, infatti, mentre mi spiega le sue opere, le tocca in continuazione. Probabilmente, il contatto con la scultura di cui mi parla fa riaffiorare alla sua mente le fasi di lavorazione e la soddisfazione di “guardare con le mani” il lavoro finito. Si, avete capito bene. Secondo Luigi, bisogna guardare una scultura anche con le mani. Non sopporta le regole dei musei che impongono di NON toccare, NON fotografare, NON avvicinarsi alle opere.

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Fiori e cristalli d’acqua

Luigi, però, non si limita, solo al tatto. La mostra di fine gennaio ha per oggetto la Natura. Per quest’occasione, sta lavorando a un’installazione di fiori e cristalli d’acqua che stimolerà tutti e cinque i sensi del visitatore:

1. vista: impossibile non essere attratti dall’espolsione di colori;

2. tatto: i visitatori potranno toccare le sculture;

3. udito: all’estremità dei fili che sorreggono la sua creazione metterà degli elementi sonori;

4. gusto: accanto all’opera, i visitatori troveranno delle violette di zucchero;

5. olfatto: impregnerà i fiori di essenza di profumo.

Se queste sono le premesse, io sono impaziente di visitare la mostra di Luigi, e voi?

Non brancolate nel buio, provate il Dialogo

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Il Dialogo nel Buio è un’ottima iniziativa rivolta a chi non ha mai sperimentato (per sua fortuna) la vita in assenza di luce. Secondo Riccardo, che è ipovedente, questo percorso può aiutare gli aspiranti non-vedenti-per-due-ore a farsi un’idea su come sarebbe vivere al buio, anche se racconta loro solo una piccola parte della realtà.

Il percorso si svolge al chiuso, in cinque stanze che riproducono cinque situazioni di vita reale; eppure, l’esperienza provata tra le quattro mura dell’Istituto dei Ciechi non è minimamente paragonabile a ciò che i non vedenti o ipovedenti provano ogni giorno.

Una delle stanze riproduce la strada, con rumori di clacson di auto e dei lavori stradali, tipici e onnipresenti in una città come Milano. La guida ci fa mettere nei panni di un disabile visivo che vuole attraversare le strisce pedonali. Per farlo, ci fa ascoltare la differenza tra il rumore del motore di un’auto ferma al semaforo e quello di un’auto in movimento. Gli ipovedenti o non vedenti si basano su questa differenza uditiva per attraversare le strisce dove non c’è il semaforo sonoro. Si, ma che fatica! È questo che state pensando, vero?

Quello che la mostra non può far percepire sono le sensazioni che ipovedenti e non vedenti provano quando camminano per strada. Rumori e sensazioni che noi che al massimo possiamo lamentare una miopia diamo per scontati.

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Riccardo mi parla del colpo d’aria che avverte quando un’auto gli sfreccia accanto o della voce delle persone che gli vengono incontro. Ma anche del rumore dei tacchi di una donna o del profumo femminile che indossa, particolare che gli fa pensare al suo aspetto fisico: “Chissà se è attraente. Magari ha solo buon gusto nel scegliere i profumi”.

Come mi spiega Riccardo, il Dialogo nel Buio dà una visione (per modo di dire) limitata della realtà dei disabili visivi. Eppure, consiglio quest’esperienza a chiunque voglia provare a impugnare il bastone bianco e mettersi nei panni per due ore di chi con il buio parziale o totale ha a che fare ogni giorno.

A lezione di pasticceria

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A quale studente non piacerebbe avere lezione di pasticceria alla prima ora? I ragazzi disabili che frequentano il corso personalizzato di un istituto alberghiero di Milano hanno questo privilegio. Il programma e gli obiettivi previsti per queste classi sono creati ad hoc da insegnanti e psicologi per ogni studente. Per il resto, il ciclo di studi triennale offerto loro è identico a quello delle altre classi di studenti normodotati.

Silvia è l’insegnante di pasticceria e mi racconta che, avendo disabilità diverse, i ragazzi perseguono obiettivi differenti durante la stessa lezione: per alcuni di loro è già un traguardo riuscire a tenere in mano la frusta per dolci; altri, invece, alla fine dell’ora riescono a sfornare la torta o i biscotti seguendo la ricetta data da lei.

Come tutti gli studenti, anche i ragazzi di Silvia si distraggono facilmente. Per evitare che perdano la concentrazione, inventa stratagemmi sempre nuovi per coinvolgerli e stimolarli. Ad esempio, mostra loro foto dei dolci che prepareranno insieme, o dà loro compiti durante la lezione, come pesare per lei la farina o aiutare il compagno rimasto indietro.

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Una volta terminati i tre anni di studio, i ragazzi disabili ricevono una certificazione di competenze, utile per l’inserimento nel mondo del lavoro. La classe del secondo anno che segue Silvia sta per andare in stage, come previsto per ogni studente della scuola. La difficoltà, in questo caso, sta nel trovare strutture che accettino stagisti disabili che possano lavorare per orari ridotti.

Nonostante le complessità legate al lavoro futuro, l’inserimento di classi di soli disabili all’interno della scuola ha dei lati positivi. Le lezioni di pasticceria sono previste solo per il percorso personalizzato; tuttavia, da poco, alcuni studenti della scuola con problemi comportamentali possono frequentare il corso per brevi periodi. Silvia mi racconta della metamorfosi di uno di loro: seguendo le lezioni di pasticceria con i ragazzi disabili, da bulletto si è trasformato in ragazzo modello, sempre pronto ad aiutare i compagni. Probabilmente avrà rigato dritto per poter restare più a lungo nella classe. Ma anche se fosse, questa opportunità mi sembra un valido modo per far avvicinare gli adolescenti al mondo della disabilità.

Vado a vivere da solo

Chi non ha mai sognato di pronunciare queste parole? Magari immaginando se stesso davanti alla soglia di casa con la valigia in mano, mentre i propri genitori assistono sconsolati alla scena. O magari come Jerry Calà, che esprimendo il suo desiderio di compleanno provoca una crisi di pianto alla mamma.

Prima o poi la voglia di diventare autonomi e andare a vivere da soli, con amici o con la persona che amiamo ci passa per la testa. Ma mica solo a noi.

Anche le persone con disabilità hanno questo desiderio. HSLT, come ho in parte già raccontato, ha due progetti a riguardo. Ne ho parlato con Anita, una delle educatrici.

In APPA persone accomunate da disabilità intellettive sperimentano la convivenza con gli amici. I ragazzi sono supportati da educatori e il divertimento è assicurato da numerosi volontari, che animano con entusiasmo la casa. Gli ospiti con disabilità trascorrono in Appartamento periodi brevi, che nell’arco di cinque anni aumentano progressivamente.

Per alcuni ragazzi e genitori il distacco iniziale è traumatico. L’APPA dà, però, i suoi frutti: alla fine del percorso, molti ragazzi diventano abili aiutanti nei mestieri di casa, per la gioia delle mamme.

Fuori dalla porta blu di HSLT è appeso un fiocco rosa: è nata da poco la “microcomunità”, un’evoluzione del primo progetto. I ragazzi vivono in “micro” per un anno o più, seguiti da un’equipe educativa. La casa è abitata stabilmente anche da due volontari, che pagano un affitto ridotto. A differenza dell’APPA, i ragazzi disabili trascorrono i weekend in famiglia, evitando crisi di astinenza e di pianto alle mamme.

Sport… che Passione!

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Oggi vi racconto la storia di Barbara, una mia cara amica. Barbara ha un fratello, Alessandro, che ha una disabilità intellettiva e vive in sedia a rotelle. Durante la nostra chiacchierata, la mia amica mi ha spiegato come si vive lo “sport per disabili”: praticando l’attività in squadra, i ragazzi si sentono parte di un gruppo. I componenti del team si accettano a vicenda, giocano alla pari e riescono a sentirsi pienamente se stessi. La passione di Alessandro è il nuoto. Quando ancora riusciva a camminare e nuotare anche con le gambe, ha partecipato ad alcune gare. In una di queste, i nuotatori disabili hanno perfino sconfitto una squadra di “normodotati”.

Nonostante ora viva in carrozzina, Alessandro non ha rinunciato al nuoto. Ogni giovedì Barbara esce prima dal lavoro e accompagna suo fratello in piscina. Ovviamente, le difficoltà non mancano. Il parcheggio dello stabilimento è uno degli ostacoli che Barbara e Alessandro devono affrontare. I posti auto a spina di pesce riservati ai disabili sono pochi, ma ci sono. Il problema sorge quando Alessandro deve scendere dall’auto: se il parcheggio di fianco al lato del passeggero è occupato, la carrozzina non può passare tra i due veicoli. Alessandro, quindi, non può uscire. Barbara allora deve rimboccarsi le maniche e: fermare l’auto in doppia fila, prendere la carrozzina ripiegata dal baule, aprirla, far scendere Alessandro, farlo sedere sulla carrozzina ed infine parcheggiare prima lui al sicuro dalle altre auto e poi la sua macchina. Terminate le complicate operazioni di parcheggio, Barbara ed Alessandro entrano nello stabilimento.

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La piscina comunale non è dotata di uno spogliatoio per disabili. Perciò la mia amica deve intrufolarsi nello spogliatoio degli uomini per aiutare il fratello a cambiarsi. Una volta pronto, Alessandro viene fatto sedere su una carrozzina elettrica, che facilita il suo ingresso in acqua. Il momento tanto atteso è finalmente arrivato: il contatto con l’acqua fa dimenticare ad Alessandro le difficoltà incontrate per raggiungere il bordo vasca. Ora il nostro amico è nel suo elemento. Non si cura nemmeno delle occhiate incuriosite delle donne che fanno aquagym due corsie più in là. Può finalmente rilassarsi e godersi la sua ora di corso.

Da volontaria a blogger

L’idea di dedicarmi al volontariato mi è venuta (quasi) per caso.

Cinque anni fa frequentavo il primo anno di università triennale ed avevo abbastanza tempo libero da dedicare ad attività ludiche. Un compagno di studi, per il quale avevo una cotta, mi raccontò che una volta alla settimana svestiva i panni tristi e scialbi di studente e indossava quelli di volontario. Gli chiesi informazioni sull’associazione di volontariato e scoprii che la sede si trovava esattamente davanti a casa mia! In effetti, durante i mesi primaverili, sulla piazzetta di fronte al mio palazzo si riversavano ragazzi di ogni età, disabili e volontari, a ballare a ritmo di musica e giocare.

La pigrizia mi aveva trattenuta dallo scoprire di cosa quest’associazione si occupasse. Rimasi nella mia bieca ignoranza fino a quando il mio compagno non mi parlò della sua esperienza. Incuriosita dalle attività che svolgeva e, lo ammetto, con la prospettiva di passare più tempo con lui, varcai la porta blu dell’associazione.
La presentazione che mi fu rivolta suonava all’incirca così: “Handicap …su la testa! si occupa di far trascorrere ai ragazzi con disabilità intellettive il tempo libero in compagnia di amici, svolgendo attività ludiche e ricreative”. Tra le proposte, scelsi il CRH. L’impegno richiesto era di un pomeriggio a settimana, in cui, insieme ad altri nove volontari e dieci ragazzi, mi “divertivo come una matta”.

Dopo due anni di CRH decisi di mettermi nuovamente alla prova: diventai volontaria dell’APPA. Si, avete capito bene, l’associazione ha un appartamento di proprietà che mette a disposizione degli utenti. L’obiettivo del progetto è di far sperimentare ai disabili periodi di distacco dalle famiglie e di renderli più indipendenti.

Il famoso APPA

Trascorrere il tempo con gli amici mi fece dimenticare il ragazzo per cui avevo preso una cotta. Eppure, gli sono grata: mi ha spronata a svestire le pantofole e compiere i dieci passi che distano da casa mia all’associazione dalla porta blu.
Per la cronaca, lui non mi degnò mai di uno sguardo e due o tre mesi dopo la mia “vestizione” da volontaria sparì dall’associazione. Tuttavia, io a quel punto avevo già trovato la mia fonte di felicità e non l’avrei abbandonata nemmeno per George Clooney.

La mia attività di volontariato si è conclusa, per ora, con l’inizio delle lezioni della laurea magistrale. Eppure, ciò che mi ha allontanato dall’associazione mi sta ora dando la possibilità – tramite questo blog – di occuparmi del tema della disabilità, da un punto di vista differente, certo, ma proprio per questo stimolante e divertente per me e, spero, anche per voi.